Aspettando Lecter

Parte I

“Il pranzo di Wilson è sempre buono”. Gregory House si siede sulla panchina in prossimità del parco. Sogghigna sotto i baffi. Si sazia di più pensando alla faccia dell’amico quando vedrà il suo pranzo scomparso, che non per il sandwich stesso. “Immagino” sospira un ometto ricurvo su se stesso seduto sulla panchina retrostante. House si volta con la bocca piena sgranando gli occhi per vedere chi ha parlato. “E tu,” iniziò lo zoppo, “non mangi?”. L’uomo dall’altro lato sospirò; sicuramente aveva passato la trentina, ma il suo viso restava quello di un ragazzotto impacciato. “È evidente che io stia soffrendo delle stesse disgrazie di questo Wilson” Prima di rispondergli, House pensò con suo divertimento, che dei baffi sul quel viso sarebbero stati decisamente fuori luogo. “Intendi dire che hai un amico che ti fotte il pranzo?”
“Precisamente”
Calò un silenzio imbarazzante. Solo la masticazione nervosa e ghiotta di House lo rompeva, facendo così salire ulteriore fame all’altro. Quest’ultimo decise infine di farsi avanti. Si girò una volta e poi una seconda cercando d’inquadrare l’uomo dietro di sé. Arricciò le labbra, intrecciò le dita della mano sinistra con quelle della destra, fece per parlare ma richiuse la bocca subito dopo. House dal canto suo continuava a mangiare ormai dimentico di chi gli stava intorno. Con un’ultima presa di coraggio, l’ometto si alzò per sedersi di fianco all’uomo. Con sua meraviglia, notò che il burbero teneva un bastone al suo fianco. House smise di masticare il boccone per quello che all’ometto sembrò essere un’inquisitoria infinità e lo osservò con i suoi occhi azzurri. Sospirando tra sé e sé, allungò una mano: “John Watson” anche il silenzio che seguì venne percepito come un’infinità. Stavolta d’imbarazzo. House tornò a masticare e mostrando orgoglioso la bocca piena disse: “Guarda, che non è mia intenzione dividere il pranzo. Non hai idea delle fatiche che ho fatto per rubarlo!”
John mostrò un’aria contrita che maledì non esser riuscito ad evitare. Stava per alzarsi deciso ad andarsene, quando Greg lo fermò: “Gregory House”, si pulì la mano sui jeans e l’offrì a John. Questo gliela strinse accennando un sorriso: “Comunque non era mio fine chiederti da mangiare”
“Chiedilo alla bava che ti cola dalla bocca”
Watson rise. “Ho notato il bastone,” continuò, “com’è successo?” “Aneurisma alla gamba mal diagnosticato” lo disse con tutta la superficialità che il suo tono potesse esprimere. John non seppe esattamente come rispondere o come comportarsi. Dopotutto era una faccenda seria e per nulla piacevole. La superficialità usata da House doveva nascondere un profondo dolore che il danno gli aveva inflitto.
“Mi dispiace”
“Nemmeno tu hai avuto vita facile”
House non lasciava respiro alla conversazione. Amava il botta e risposta.
“Come dice?”
“Deve essere stata una faccenda poco simpatica. Non che vi siano guerre piacevoli e di certo non la invidio”
John rimase senza fiato. Era un fottuto déjà vu!
“Ma non è da tutti tornare sulle proprie gambe in seguito a una crisi post-traumatica come la sua”
John si propose con finto risentimento: “E sentiamo, da cosa lo avrebbe capito? Dal palmo della mano con cui usavo il bastone o dalla suola della scarpa più usurata?”
“Veramente ho letto di lei a una conferenza”
E tutte le volte John ci cascava. O era troppo ottuso o troppo laborioso.
“Dr. John Watson”, riprese House fingendo di ricordare, “lei è un tipo un po’ strano”
“Sono inglese!” ribatté.
Stavolta il risentimento era reale. Greg sogghignò, prese una lattina di birra dal sacchetto e la porse a Watson. Poco dopo se ne preparò un’altra. Brindò portando la sua verso quella di John e concluse: “Condoglianze”.

✑ 2014.

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