Aspettando Lecter

Parte III

“Greg, quel tipo si dirige verso di noi!” proferì allarmato John.
“Non chiamarmi Greg. Nemmeno Wilson lo fa”
“E chi sarebbe il vostro amichetto?” s’intromise Schultz, notando il passo felpato dell’uomo che li stava raggiungendo.
“Amichetto non direi. Dico, l’hai visto?” disse House “Quello è tipo da fare nozze il giorno di Halloween!”
Watson non colse la battuta, era troppo intento a sondare altri particolari dell’uomo in avvicinamento. Aveva occhi piccoli ma accesi, potevano insinuarsi in qualsiasi animo umano, come i serpenti fanno con le rocce. Gli zigomi alti ben levigati lasciavano le gote vuote e ciò che qui non riempiva, era stato sistemato sul labbro superiore fortemente accentuato. Per quanto particolare, l’insieme conferiva importanza e del certo fascino. Giunse a loro poco distante quando finalmente parlò.
“Scusate il disturbo,” la sua voce ricordava vagamente il tocco di una mano sul velluto. “Sto cercando il Dr. Gregory House”.
“E’ lui” House indicò John. L’uomo rise delicatamente socchiudendo gli occhi.
“Signor House, mi avevano avvertito del suo comportamento poco consono e giocoso. E per giocoso intendo dire infantile”.
“Non mi offenda così, c’è un animo sensibile sotto questa corazza” Greg stava mettendo in scena il meglio del drama.
“Proprio per questo mi hanno offerto il suo caso,” estrasse un biglietto da visita dalla tasca del cappotto.
“Dr. Hannibal Lecter.” Lesse House. “Psichiatra”
Alzò gli occhi. L’espressione non-mi-prenda-per-il-culo era palese. “Non ne ho bisogno”
“Ogni paziente spesso parte con questa frase. E’ un buon inizio” sorrise soddisfatto.
“Lei non capisce,” House si fece estremamente serio. “Ci sono già passato e ho tratto le mie conclusioni. Non cambierò oltre”.
Hannibal lo guardò dritto negli occhi: “Io non intendo cambiarla. Intendo ascoltarla”. House cercò d’interpretare quel individuo, tanto illeggibile quanto complesso; un vero caso interessante per la sua mente.
“Potremmo essere amici” riprese Lecter.
“Io non ho amici” fu la risposta gettata fra i denti.
“E’ questo che ci rende simili”

Erano affascinati l’uno dall’altro; due menti che si studiavano in un valzer d’incongruenze. John avrebbe voluto rompere il silenzio con una delle sue battute, magari la solita “Hamish! John Hamish Watson. Nel caso vi servisse un nome per il bambino” ma fu battuto sul tempo.
“Non ho potuto fare a meno di notare che lei non ha mangiato,” e John capì che Lecter si stava rivolgendo a lui. Riuscì a biascicare un no come risposta.
“Se mi permette, le offrirei volentieri parte del mio pranzo”
“E’ davvero gentile, ma …”
“Ne sono sazio,” insistette Lecter, “e trovo abominevole gettar via del buon cibo”
Di nuovo quello sguardo calcolatore.
“La prego di accettarlo. Lo preparo appositamente con le mie mani” sorrise “Può fidarsi”.
Era chiaro che un no come risposta non era contemplato: Watson fu costretto ad accettare. Hannibal Lecter chiaramente soddisfatto, si rivolse un’ultima volta a House, prima di congedarsi.
“Mi chiami”. E girò i tacchi verso l’uscita con passo studiato.


“Che personalità strana”, sospirò John Watson osservando il bottino che aveva in grembo: insalata fredda con pomodorini, pollo e altri ingredienti, forse troppo costosi o introvabili perché ne conoscesse il nome.
“Inquietante, vorrai dire!” gli rispose House. “Eri tu quello che se la faceva sotto o sbaglio?”
“Beh, è uno psichiatra” si giustificò John, “Diciamo che fa parte del complesso”
House puntò gli occhi sull’insalata di Watson.
“Io non chiuderei così la questione. Ha una personalità troppo contorta e intrigante per esser archiviato in maniera tanto superficiale”
“Ma se hai appena detto che è inquietante! Non mi pare un modo carino per definire una persona”
“Primo: non mi fido degli uomini che indossano gilet e cravatta”
“Apprezzo la sua sincerità” lo interruppe Schultz sentendosi preso in causa.
“Secondo: l’hai visto in faccia?” riprese Greg, riferito all’ormai assente Dr. Lecter.
“Uno con un nome come il suo, non deve starci tanto con la testa!”
“E tu, allora?” rispose Watson, “Hai un nome normale, ma ti fai di Vicodin: sei un drogato e pure stronzo!”
House sorrise compiaciuto come se gli avessero appena fatto un complimento. Citò il tedesco per darsi ulteriore tono: “Touchè”.


John rimuginava ancora sull’accaduto.
“Tutto ciò resta insensato. Le cravatte le porti pure tu”.
House puntò gli occhi al cielo: “E’ insensato che tu voglia tornare sull’argomento. Proprio perché le indosso, so che non vi dovreste fidare di me. Eppure lo fate tutti”.
Schultz rise sotto i baffi.
“Ha ragione lui, giovanotto. Gioiamo che se ne renda almeno conto”.
Greg alzò la mano per battere il cinque al dentista, ma questo non capì. Anzi mostrò la sua lattina di birra e disse semplicemente: “Prost!” dissetatosi piacevolmente.
“Sa, gentile collega” seguì rivolto a Greg “stando al suo ragionamento, lei non dovrebbe fidarsi nemmeno del sottoscritto”. King allargò le braccia poggiarle sullo schienale della panchina.
“Schultz per lei il discorso è diverso. E’ un cacciatore di taglie, glielo si legge in fronte che non ci si può fidare”
“Ottima risposta, collega, tuttavia non può negare che ho un certo stile”.
John s’illuminò come un bambino e s’intromise: “Ricorda tanto la battuta di Harry Potter, quella riferita a Silente!”
Stavolta non solo House lo guardò di sbieco, ma anche Schultz.
“Oh, andiamo! Come fate a non cogliere il riferimento?”

Epilogo

Il sole stava calando, il pomeriggio era passato e House non vedeva l’ora di stendersi sul letto per non dover più pensare a niente e a nessuno. Si alzò stiracchiandosi.
“Sai Watson,” concluse “dovresti iniziare a darti un tono anche tu. Indossa una cravatta ogni tanto,” cercò l’appoggio di Schultz.
“Non ti si può vedere con quel pullover!”
King gli sorrise lasciando intendere che l’eleganza era anche uno stile di vita: non bastava una cravatta per fare un gentiluomo. Quel giovanotto però gli era simpatico e intuiva quanto fosse di animo gentile.
“Vi auguro una soave serata, signori” disse poi, incamminandosi verso il tramonto con tanto di cappello.
House fece un cenno e si avviò anche lui.
Rimasto solo, John prese a discutere con sé stesso tirando e guardando il suo pullover. Non si rese nemmeno conto d’aver scordato il pranzo offertogli da Lecter sulla panchina.
“Che ha che non va il mio pullover?” sbuffò “Al fandom piace!”

✑ 2014.

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